“Parlare di cucina regionale italiana è come entrare in un labirinto: prendi una strada pensando di avere chiara la tua meta e invece in un attimo ti ritrovi trasportato lontanissimo, non solo nello spazio, ma anche nel tempo, nella cultura, nelle tradizioni“. (dall’Introduzione di Carlo Cracco)
Dopo il successo di Se vuoi fare il figo usa lo scalogno , Rizzoli, 2012, Cracco si misura con la tradizione culinaria regionale condensata in 60 ricette e 32 approfondimenti su piatti e prodotti.
Ci accoglie nel suo ristorante in via Victor Hugo con gran cordialità, si accomoda con noi per raccontarci qual è la versione di Cracco: la storia della cucina regionale italiana è la storia d’Italia e addirittura travalica i confini nazionali ma nel contempo ogni ricetta ha una sua esecuzione che varia non solo di paese in paese, ma addirittura, di casa in casa. Vedo già le vostre espressioni crucciate nello scoprire che Cracco non prepara il fritto misto all’italiana come lo faceva la zia di vostra nonna, però, cari lettori, sappiate che le sue ricette sono frutto di una mediazione studiata tra diversi testi fondamentali della tradizione gastronomica italiana – spesso reperiti nella biblioteca del collezionasti e gastronomo Toni Sarcina – e la messa in pratica: i piatti sono oggetto di preparazioni dapprima immaginate, poi ponderate, accomodate e infine suggellate dal tocco dello chef, l’elemento in più che rende quel piatto unico e che, senza farlo uscire dal seminato regionale, lo trasforma in qualcosa di stimolante.
Le regioni più difficili da rappresentare? Il Molise insieme alla Valle d’Aosta, per la dimensioni ridotta e la forte influenza, in cucina, dalle regioni vicine. La ricetta più complessa? Quella del fritto misto all’italiana (Piemonte), tant’è che nei tempi di preparazione è indicato “prendetevi un weekend”. Quella che ha avuto bisogno di maggior sperimentazione? La torta delle quattro città (Veneto), antica ricetta raccontata da Iginio Massari, qui proposta con una pasta sfoglia all’uovo drappeggiata invece che con la finitura di tagliatelle. Il trivia più divertente? Quello sul nome della finanziera (Piemonte), che deriva dal fatto che venisse servito durante riunioni di banchieri che indossavano l’omonima giacca.
Le ricette preferite di Petunia? Le semplicissime puntarelle (Lazio) con datteri e il sontuoso timballo del Gattopardo (Sicilia).
Ho letto il libro di Tomasi di Lampedusa circa vent’anni fa e mi è venuto l’attacco di fame più lungo della storia “Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei babelici pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.” (da Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli)
Finalmente posso colmare questo atavico buco nello stomaco senza bisogno di un monsù, ma semplicemente seguendo la ricetta proposta. E prendendomi almeno un paio di giorni di tempo per elaborare questa cattedrale barocca costruita in un piatto. Per sentirne il profumo, tastare con la forchetta la superficie croccante e lasciarmi andare alla fragranza che ne uscirà una volta rotta. Buon appetito!
In libreria dal 13 novembre.
Carlo Cracco, A qualcuno piace Cracco. La cucina regionale come piace a me, Milano, Rizzoli, 2013 – 16,90 €
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