Il mio rapporto con le ostriche è stato controverso fino a pochi anni fa. Anzi. A dire il vero rientravano tra i tabù, insieme a tutte le frattaglie e le interiora (che ci sono rimaste!).
La conversione è avvenuta da qualche anno, folgorata sulla via di Cancale, in Bretagna, dove il ghiotto Mr.Ollister mi ha trascinato perentoriamente dicendomi “Guarda cara Petunia, che tutto quel che hai mangiato fino ad ora non erano ostriche ma schifezze. Ti porto io in un posto da cui non potrai che tornar estasiata!”. Questa querelle si concluse con una dozzina di ostriche a testa mangiate seduti in strada sul lungomare di Cancale, con vista sulla sconfinata spiaggia di gusci sottostante. Da quel momento ho capito che la mia avversione era legata all’ostrica cattiva, mal conservata, tutta sale e nient’altro, non alla povera ostrica in sé.
Quando sono stata invitata allo storico ristorante a’Riccione, – via Torquato Taramelli, 70 – per una degustazione guidata di ostriche sono stata a dir poco felice. L’aver trovato delle persone competentissime che hanno guidato il nostro palato verso la nostra ostrica preferita è stato a dir poco sorprendente. Vedere persone avverse alle ostriche, assaggiarne una per la prima volta in vita loro è stato uno spasso perché mi sono ricordata del mio scetticismo.
L’ostricaro ha adottato un metodo molto elementare: a ciascuno chiedeva cosa non piacesse dell’ostrica e quindi sceglieva quella con
caratteristiche opposte ai difetti che si imputavano al povero mollusco.
“Non ti piace il salato? Sentirai quanto è dolce.”
“Non ti piace il viscido? Ti farò assaggiare qualcosa dalla consistenza carnosa.”
Cosa ho imparato? Che le ostriche sono un mondo sconfinato simile a quello del vino. Per riuscire a dar loro un certo tipo di gusto bisogna affinarle in un certo tipo d’ambiente (ad esempio per un gusto dolce i parchi d’affinamento dovranno essere necessariamente vicino ad un corso d’acqua dolce). Che quando vengono messe in vendita quelle selvagge non bisogna lasciarsi incantare dal termine: sono ostriche che non hanno subito alcun tipo di affinamento e quindi al palato risultano semplicemente salate. Inoltre sfatato anche il mito del “prima la mangio, più è buona”: in realtà per arrivare a gustare l’ostrica nel pieno del suo sapore l’ideale è mangiarsela dopo 4-5 giorni dalla raccolta (il mollusco rimane vivo e in salute fino al decimo giorno. Poi è sconsigliabile mangiarlo.).
Scopro anche, con grande sorpresa, che in Sardegna, precisamente a San Teodoro, c’è un pregevole allevamento di ostriche. Ma qualcosa lo sapevo già! Ad esempio che l’ostrica è ottima al naturale, accompagnata da un morso di pane e burro, ma anche con l’aceto e lo scalogno, oltre che con il classico succo di limone. A tal proposito ho assaggiato i sapori sferizzati dalla cucina molecolare di Cocktail Pearls, il mio preferito? Limone e lime!
Ma chi ci ha guidato tra Belon, Marennes Oléron, Mouirgen, Tsarskaya, Mont St. Michel e Gillardeau? I bravissimi ostricai di La piazzetta del pesce che oltre a vendere online una varietà impressionante di pesce, crostacei e molluschi, organizzano, in collaborazione con i migliori ristoranti e enoteche, gli eventi I love Ostrica durante i quali è possibile degustare ostriche e crudità di mare. Il loro motto? “Non peschiamo le ostriche, le amiamo.”!
Quando volete mangiare delle ottime ostriche a Milano non ci sarà più alcun dubbio, basta pensare che da a’Riccione ristorante e bistrot (quest’ultimo – in Via Camillo Procacini, 28 – è un vero e proprio oyster club) trovate il meglio del meglio, selezionato da veri professionisti che hanno compiuto fior fior di ricerche sul campo prima di servirvi l’oggetto del loro amore.
Gian Marco Zandrino
Fa piacere sapere di essere riusciti nel nostro intento….. far conoscere ed apprezzare l’ Ostrica, attraverso un’ esperienza sensoriale positiva.
Grazie per aver partecipato.
Gian mArco
eatitmilano
Grazie mille a voi, piuttosto. E a presto!