Non è facile per un napoletano cenare fuori da casa con piatti tipici della cucina partenopea. Ci sono tanti motivi, ma il primo, e il più semplice, è senza dubbio il fatto che i sapori che si sono accavallati nel tempo sulle papille gustative sono così assodati che anche la più piccola sbavatura sembra un enorme, incredibile e imperdonabile sbaglio. Un aborto culinario.
Così quando siamo stati invitati ad una cena per provare il menù partenopeo del ristorante Amici del Liberty, mi sono avvicinato all’appuntamento come il più guardingo dei critici (non sono un critico culinario della Guida Michelin, ma in quanto a pignoleria sul cibo posso dare del filo da torcere a chiunque). Ma un buon critico sa. E deve ammettere quando si trova davanti ad un’esperienza indescrivibile, perfetta. È questo il caso di quella sera trascorsa in questo ristorante meraviglioso.
La zona è incantevole, ricca di piccoli bistrot e posti dove provare cucine esotiche, ma ecco che lo stile liberty, o meglio, “libery” vista la libertà con cui è stato realizzato l’arredamento, non potranno non colpirvi. Nicola, il cicerone della serata, nonché proprietario di origini ovviamente napoletane, ci illustra così una stanza realizzata a suo modo, trovando oggetti nei mercatini dell’usato, comprandone o facendone realizzare di nuovi da amici artigiani: una stanza così ricca che ha avuto anche l’onore di trovare una storia che la racconti. Già, perché sicuramente durante la vostra cena potrete essere allietati da questo racconto di fantasia del proprietario che vi narrerà di questa donna, dei suoi amanti, dei suoi trascorsi burrascosi che vivono in ogni piccolo oggetto della stanza.
Oltre all’intimità del locale, c’è ovviamente la bontà del cibo. E qui entra in scena il cuoco Pino, o meglio, il “cuciniere di casa” come ama farsi chiamare. Perché a differenza di uno chef, l’abilità di questo cuciniere sta nel riprodurre i piatti della tradizione fedelmente e, credetemi, un napoletano potrà chiudere gli occhi per sentire i sapori e i profumi della cucina di casa. Friarielli, melanzane alla scapece, pizze imbottite con le scarole e ancora: montanare calde, pasta alla genovese (che meriterebbe un capitolo a parte per chi non conosce questa prelibatezza partenopea), paccheri con ragù impreziosito da più di otto ore di cottura. E poi, dulcis in fundo, una pastiera calda e una caprese (torta di nocciole e cacao) da far perdere completamente i sensi. Sensi che si potranno riacquistare solo con una bella “tazzulella e’ cafè”.
Ma le parole non bastano per descrivere questi piatti e questo ristorante che dovrebbero essere semplicemente vissuti in un modo: come una vera esperienza culinaria senza tempo, nella Napoli dei primi del ‘900. Insomma: da provare.
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