Ci sono infinite storie e troppe infondate leggende legate al cibo e alla sua evoluzione. Leggendo Il genio del Gusto, di Alessandro Marzo Magno, edito da Garzanti, in cui si racconta di “come il mangiare italiano ha conquistato il mondo“, ho imparato parecchio da questa accurata ricerca e non ho saputo resistere dal condividerne con voi una parte infinitesimale.
Prima di iniziare ripassiamo tutti insieme la prima regola: l’Italia è una penisola piazzata in mezzo al Mediterraneo, terra di conquistatori e terra conquistata. Di conseguenza “la purezza etnica non esiste; gli alimenti più tipici dell’identità italiana hanno origine straniera” (p. 28).
Iniziamo dalla storia della forchetta, uno strumento che a noi sembra indispensabile, e che invece non è sempre esistito sulle tavole dell’Europa Occidentale.
La prima comparsa, accreditata da fonti storiche, di un aggeggio in argento, con un manico e due rebbi chiamato piròn, dalla radice greca del verbo infilzare, è nella Venezia, dell’anno del Signore 1004, tra le mani di una nobildonna bizantina, Maria Agiropulina, sposa di Giovanni Orseolo, figlio del doge. L’uso dell’attrezzo in questione era guardato dai veneziani come una semplice stranezza.
Dopo lo scisma delle chiese d’oriente e d’occidente (1054) la situazione cambia drasticamente. I bizantini e i loro costumi non sono più bizzarri, ma vengono considerati disprezzabili. Forse è proprio questa frattura religiosa a creare l’iniziale ostacolo culturale alla diffusione della genial posata. La forchetta ci metterà quasi un millennio ad arrivare sulle tavole di tutti.
La primissima rappresentazione iconografica della forchetta in Italia è sempre a Venezia, sempre a carico dei bizantini. Sulla tavola dell’Ultima cena della Pala d’oro di San Marco si vedono due forchette e due coltelli destinati a Cristo e Pietro. Perché, ahinoi, le posate non erano certo per tutti, ma solo per i personaggi importanti. Una consuetudine che in alcune zone, rurali e povere, d’Italia continuò fino a inizio Novecento: le donne mangiavano con le mani, mentre la forchetta era destinata al capofamiglia.
Il suo uso inoltre rimase a lungo circoscritto nell’area del consumo della pasta lunga. Bonvesin della Riva ci racconta come si mangiava a Milano nel 1288, menzionando i cucchiai (che percorrono la storia di tutta l’umanità dall’antico Egitto in poi), i coltelli (non era necessario che ognuno avesse il suo, ne bastavano un paio su ogni tavola) ma non la forchetta: non mangiandosi pasta a Milano, la forchetta arriverà nella nostra città molto più tardi.
Nel Rinascimento le forme delle posate iniziano a mutare di pari passo al mutamento della società: il coltello perde la punta perché non serve più ad infilzare sostituito dalla sempre più diffusa forchetta, così come la società rinascimentale è meno violenta e cacciatrice di quella medievale. Dal Seicento in poi, nonostante il sospetto che ancora la circonda la forchetta inizia la sua lenta ma inesorabile conquista delle nostre tavole. Progressivamente anche la sua forma muta: se fino al Quattrocento i rebbi sono solo due, nel Cinquecento diventano tre e a Napoli, tra Sette e Ottocento, arriva il quarto, essenziale per avvolgere sempre più efficacemente la pasta lunga.
Dopo aver vinto la diffidenza italiana la forchetta parte alla conquista del resto d’Europa, non senza altre resistenze. In Francia Enrico III, figlio di Caterina de’ Medici, tenta d’imporla nel corso del Cinquecento, ma ancora una volta la forchetta dovrà scontrarsi contro il pregiudizio del suo essere superflua raffinatezza per italianofili.
In Inghilterra, una delle prime forchette arriva nel 1608 dall’Italia al seguito di Thomas Coryat, che la porta come ricordo di viaggio e la usa pure. Anche lui viene considerato semplicemente uno stravagante, tant’è che all’inizio del Settecento nelle isole britanniche la forchetta è ancora sconosciuta ai più.
I ceti medio-alti d’Europa (non così i poveri, che continueranno a mangiare con le mani fino a Novecento inoltrato) inizieranno a usare consistentemente la forchetta dalla fine del Settecento, ma ci vorrà ancora un secolo prima che la bizantina consuetudine diventi parte consolidata dei nostri comuni costumi.
Una delle mie idee più geniali l’ho avuta guardando un gruppo d’inglesi che tentavano di mangiare gli spaghetti: un corso per insegnare a chi non lo fa fin da bambino ad avvolgere la pasta lunga. Potrebbe essere un successo oppure nel giro di qualche anno il finger food relegherà la forchetta nel dimenticatoio?
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